Il regista Renny Harlin presenta quest’anno il primo film che tratta gli avvenimenti succedutesi nel 2008 nell’Ossezia del Sud: gli scontri tra la Georgia e la Russia durati 5 giorni, durante i quali si stavano svolgendo le Olimpiadi di Pechino, motivo per il quale le tv non hanno mostrato interesse eccessivo per il genocidio e hanno definito la battaglia come una “quasi guerra”. Dal titolo mutevole, che sia “5 days of war” oppure “5 days of August” o “City in fire” - a seconda del luogo di distribuzione – questo si presenta come un esotico ritratto di un mondo invisibile dove una guerra è una ferita aperta e pulsante ma sotto silenzio, provocatrice più di dubbi che di risposte ma almeno stimolatrice di fari su una questione spinosa: “questi posti sono bellissimi, ma dopo arriva la guerra e il mondo li guarda appena”, perché?
Trama
Un reporter di guerra e il suo cameraman rischiano la vita per diffondere in tutto il mondo la verità sui crimini perpetuati dalla Russia nei confronti degli Osseti, sullo sfondo la storia di una famiglia in frantumi e di una bambina coraggiosa che ha informato l’Occidente.
Cast
Mikheil Saakashvili, il presidente della Georgia: Andy García
Michael Stilton, reporter Inglese di guerra: Kenneth Cranham
Chris Bailot, segretario di Saakashvili: Dean Cain
Tatia, ragazza Georgiana: Emmanuelle Chriqui
Thomas Anders, reporter Americano: Rupert Friend
Sebastian Ganz, reporter Inglese: Richard Coyle
Rezo Avaliani, ufficiale Georgiano: Johnathon Schaech
“Dutchman”, giornalista Tedesco: Val Kilmer
Zoe, reporter Americana: Antje Traue
Miriam, reporter Americana: Heather Graham
Viaggiare è possibile anche osservando le tradizioni di un popolo tramite uno schermo, fino a che tutto non viene squarciato dall’urlo di un’ugola arrossata: la guerra maledetta che non si è mai sopita. Se non sapete nulla di ciò che viene descritto in questo film non crogiolatevi nell’idea della vostra gioventù, non si è mai troppo giovani per conoscere la storia, soprattutto quando questa è così recente: nella notte tra il 7 e l’8 agosto 2008 l’Ossezia del Sud viene pesantemente attaccata dalla Georgia con conseguente coinvolgimento della Federazione Russa. Nonostante le grandi critiche mosse a questa produzione per aver ricevuto appoggio finanziario da Koba Nakopia, membro del partito del Movimento dell’Unità Nazionale a cui aderisce il presidente della Georgia Mikheil Saakashvili (dapprima la pellicola doveva essere finanziata direttamente dal governo georgiano ma le polemiche hanno evitato questa palese categorizzazione del punto di vista nello scontro), l’opera si snoda su di un filone drammatico ma anche sentimentale, infatti si riconoscono i battiti della paura, ma anche dell’amore, la sensazione di impotenza ma anche di gratitudine nei confronti di chi riporta un avvenimento mostrando che il buono o il cattivo non è mai un popolo soltanto e che la storia è fatta dalle grandi decisioni degli uomini politici ma anche dai piccoli gesti di un soldato russo che si ribella e salva la situazione. La perdita è il tema imponente che intristisce lo spettatore, però non soltanto fisica, cioè del familiare (parecchie scene fanno saltare il cuore in gola per la sensazione di “sporcizia” e coinvolgimento che provocano, in netto contrasto con l’asettico carattere delle scene di ambiente governativo), bensì perdita di umanità, coraggio, dignità, ma soprattutto privazione della consapevolezza di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato. Cercare di giudicare la fazione buona o cattiva è semplice nella finzione, ma difficile nella realtà; sentirsi coinvolti nel dolore e provare un’infinita gratitudine per i veri giornalisti che rischiano e perdono le loro vite per portare alla luce le malefatte del governo è inevitabile, o forse così dovrebbe visto che queste storie finiscono per lo più nel dimenticatoio.
La fedeltà al proprio paese: “Io non scapperò. Ho combattuto troppe guerre per mantenere la Georgia libera”, l’impegno di tutti nel testimoniare gli avvenimenti più distanti ad ogni costo: “Più di 500 reporter sono stati uccisi negli ultimi 10 anni”, l’invidiabile sangue freddo di chi passeggia tre le mine “Vicini vicini, è solo una guerra!”, sono solo alcuni dei messaggi che traspaiono da questo film e sono tutti utili a dimostrare che i gesti importanti non riguardano solo l’informazione, ma richiedono anche l’azione di chi vuole dire basta alla violenza e allo sfruttamento delle vite umane sulla base di profitti economici e servigi politici.
Un pensiero va a chi combatte la guerra senza armi in mano e a chi con una sola videocamera ci permette di conoscere, se per un attimo distogliamo lo sguardo dall’Olimpiade di turno, la verità su una grossa fetta di umanità che, per sua sfortuna, è fin troppo lontana dall’occhio dei media.
“In guerra, la verità è la prima vittima” Eschilo
Isabella
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